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Introduzione al Catalogo per la mostra "Il suono del vento" (2022 - personale)


All’artista Annamaria Buonamici

Gentile Annamaria,

spero non me ne voglia se scelgo il genere epistolare per accompagnarla in questo catalogo. Credo sia la forma di comunicazione più adatta per parlare nello stesso tempo “a” e “di” un tipo di artista che non credevo appartenesse ancora a questo nuovo secolo. Ovviamente è in senso positivo.

Ho apprezzato le sue opere quando il gallerista Gianni Costa me le ha mostrate per coinvolgermi in questo progetto. Ma non immaginavo, se non dopo la nostra conversazione, che queste fossero avvolte in una sensibilità così epidermica.

La prima impressione avuta dalla sua pittura è stata quella di una complicità con Giacomo Puccini nella ricerca di un rifugio dal mondo tra i canneti di quella natura dal lontano paesaggio che è il lago di Massaciuccoli. Ho visto un albero parlare al vento in una forma in qualche modo simile a "La libecciata" di Giovanni Fattori. Mi sono ritrovato addosso una sensazione di post-scapigliatura, di tempo sospeso, non ozioso ma meditativo.

Sono andato a rivedermi il Caffè Michelangelo di Piero Bargellini, un vecchio libro del 1944, una di quelle opere maturate nella costrizione di una Firenze occupata dai nazifascisti, scritte per necessità di evasione dalla realtà e rifugio in un mondo di buoni sentimenti.

Di Fattori il futuro sindaco Bargellini dice:

" G. F. fu refrattario a tutto ciò che non avesse immediato riscontro nella sua schietta natura d’incolto, primitivo artefice, quasi inconsapevole. Fu il meno intellettuale e insieme il più intellettivo perché le cose e le idee si specchiavano nella sua mente vergine, in maniera diretta. In lui, al contrario, l'intelligenza non si faceva mai cultura. Restava come un vetro spulito, sul quale si formavano, con nitida evidenza, le immagini nella loro semplicità di cultura." [p.311]

Riporto questo passo, altri ancora le sarebbero calzati come guanti, per diversi motivi. Il primo è "l'incolto, primitivo artefice, quasi inconsapevole" elevato a valore positivo, a ingenuità fanciullesca che ritrovo così volentieri nelle sue opere e che ho riscontrato nel suo passato, quando le ho chiesto cosa l’avesse portata alla pittura. Mi ha raccontato di come l’amore  per il disegno e il colore fosse nato grazie alla sua vicina, Sara Bertini, moglie dello scultore Giannetto Salotti.
Quando Sara veniva a trovare sua madre Giulia assieme alle amiche con la scusa di prendere un caffè; di come si portasse dietro gli oggetti che decorava per lavoro e lei, bambina, guardava affascinata e imitava, rivelando buone attitudini. Tutto questo parla di un tempo ormai lontano, quando si lavorava in casa e in casa si creavano comunità spontanee capaci di sviluppare nei più giovani il desiderio di fare di una passione un mestiere di artigiano. Tutto l’opposto delle attitudini di oggi a sbandierare concettualismi. Solo semplice amore per il disegno o, meglio, per quei lunghi momenti ritagliati allo studio di una scuola d’avviamento nei quali poteva restare sola con se stessa.
Mi dica lei se queste non sono le atmosfere d’interno borghese tipiche dei macchiaioli!

Altro buon motivo di citare Bargellini è il riferimento al “vetro spulito” sul quale si formano le immagini che si specchiano in una mente vergine, intesa come libera da pregiudizi. E qui c'è Annamaria che va incontro al suo destino, inconsapevole delle scoperte che ancora l’attendono. Il lavoro dopo sposata a decorare con smalti sintetici le bottiglie della Fabbri Liquori che il furgone le portava a casa, nella campagna lucchese nei pressi del fiume Serchio, all’oggi ambientazione della sua pittura. Il lavoro di decoratrice e la necessità di rifugiarsi nella pittura incontrano la meraviglia di vedere, come Alice, il Mondo attraverso lo specchio. In questo caso la pittura vista dall’altra parte del vetro si fa più materica, informale, più se stessa.
Prevale la visione sfocata di un mondo in cui il binomio paesaggio-moto dell’anima trova una nuova dimensione grazie alla naturale velatura del supporto, a una sensazione di spleen.

È bello riscontrare le tappe di un percorso involontario e predestinato, soprattutto oggi dove si è così attenti a costruire la situazione giusta da renderla sempre artificiale. Pittrice per necessità personale, artista per caso. Una vicina di casa la convince ad esporre nel 1982 e le opere vengono vendute. Non cambia niente se non che ora c'è un pubblico che vuole vedere quei paesaggi che sarebbero nati lo stesso, perché la pittura è vissuta come necessità di fissare un eccesso di emozioni che la pervadono nelle passeggiate solitarie lungo le sponde del Serchio o del lago, tra i canneti.

C’è serenità, anche se novembrina, toccata di malinconia, nella sua semplicità. Ho annotato, forse rubato, alcuni passaggi della nostra conversazione: le nuvole sono un mondo che scivola via; il fiume passa da tutti i paesi, porta gli umori della gente; il fiume regala al mare, il mare regala al cielo. Parole da pellerossa, da persona libera.
C'è semplicità anche nella sperimentazione delle tecniche, nel passaggio dall’utilizzo del vetro come supporto a quello della vetroresina, materiale industriale, eppure così appropriato ad accompagnare il sottovoce dei suoi pensieri. C'è del nuovo, meglio del rinnovato, senza cercarlo, come una logica conseguenza: il fusto, il ramo, la fronda. Gentile Annamaria, continui ad abbracciare gli  alberi, a regalarci altri paesaggi: sono convinto che siamo in molti ad averne bisogno.

Grazie,

suo Marco Del Monte